Non sono uno psicologo, e quindi prendi ciò che dico senza pensare che mi voglia sostituire a chi ne sa più di me su queste cose; cerco solo di trasmetterti l’esperienza che ho maturato osservando la dialettica fra la mente e l’interiorità delle persone (a partire da me) o, per meglio dire fra la nostra parte razionale e quella più nascosta, che quasi sempre determina e comanda i nostri comportamenti. Uno dei temi più importanti nell’educazione dei bambini tocca il rapporto che intercorre fra ciò che i piccoli fanno per meritare il bene dei genitori, e l’istinto che ci muove sin dai primi mesi di vita. In tal senso, tutti sappiamo che spesso l’approvazione dei genitori arriva quando il bambino si comporta bene. Quando, cioè, non piange, non fa i capricci, e soprattutto non mette in atto tutti quei comportamenti “fastidiosi” per la serenità e l’equilibrio della famiglia, per i quali poi scattano i rimproveri e le punizioni.
Di conseguenza, per contrastare questa scissione fra bisogno di amore/sicurezza e prezzo da pagare per ottenere ciò, la maggior parte di noi tende a costruire sin dall’infanzia una sorta di immagine ideale. L’obiettivo inconscio è quello di reprimere la sofferenza di non essere accettati per come realmente siamo, per cancellare dentro di noi l’impressione che i nostri genitori siano guardie severe (anche contro la loro volontà) che danno o tolgono il nutrimento affettivo, se non ci comportiamo in una determinata maniera.
Con l’andare del tempo, questo dissidio crea conflitti non da poco (vorremmo essere amati per quello che siamo, e non per l’esecuzione di un compito secondo le regole della buona creanza), con l’inevitabile conclusione che l’essere umano – nella vana speranza di evitare l’infelicità dell’esistenza – tenderà a costruirsi una personalità artificiosa, conformata secondo la morale familiare e sociale (scuola, gruppi amicali, lavoro, relazioni affettive).
Non rendersi conto che l’eventuale senso di fiducia in noi stessi – generato da questa maschera ideale di bugie – è del tutto fittizio e irreale, crea poi una serie di problemi; quale, ad esempio, il senso di delusione e frustrazione quando si fa i conti con la vita vera, con i suoi colori bianchi e neri, ma soprattutto i tanti grigi che essa presenta. Questo dramma interiore, se non viene risolto, tende nel tempo a diventare una vera e propria struttura esistenziale di default, che comporta la coazione a ripetere una vita all’insegna della stupidata che non dovresti fare, ma che senti di avere la pulsione incredibile a compiere. Ed ecco che si presenta l’occasione di fare trading. Sei programmato sin dalla giovane età a vivere dentro un Truman show che non ti appartiene: figuriamoci pertanto se non troverai nel trading un perfetto specchio della tua esistenza (per inciso, è uno dei principali motivi per cui il trading piace così tanto).
VENIAMO A NOI
Io credo che mai come adesso vi sia un pericolo per la maggior parte dei trader e degli investitori. L’evidente proliferazione di blogger e gruppi social ha creato un’industria di manipolazione psicologica ben organizzata (e, soprattutto, per nulla casuale), che mira a far sentire il trader inadeguato se non arriva a determinati tipi di obiettivi. Obiettivi che possono essere di guadagno, di performance, di premi vinti nei vari contest e gare di trading, senza poi contare un fatto di cui ti sarai sicuramente accorto, e cioè di quanto le persone oggi sono dipendenti dall’approvazione altrui.
Quasi tutti fanno a gara a dire che le discese e salite forti del mercati erano già state da loro previste in tempi non sospetti, vanno in tv e sui social per farci sapere che hanno dato segnali di convenienza spaziale in diretta, e vai con le schermate dei gain dai loro telefonini ecc ecc.
C’è un bisogno, da parte di chi dovrebbe fare da guida, di farci sapere:
- io esisto
- guarda come sono bravo.
Ne consegue che non serve scomodare persone come Vacchi o la Ferragni per rendersi conto che anche nel mondo del trading esistono dei veri e propri “maitre a penser” che ti dicono come devi essere, passandoti pertanto il messaggio subliminale e manipolatorio per il quale sei un coglione se non hai raggiunto la libertà finanziaria che ti permette(rà) di farti la foto accanto una Lamborghini o dentro un jet privato. Sei un fallito se concludi un determinato periodo dell’anno in perdita, se fai fatica a guadagnare, se non stai comunque al passo con l’etica della performance. Questa è una logica che viene dagli anni 80, con le pubblicità della Renault Vavavuma, della Milano da bere, e di Cindy Crawford che parlava di profumi e performance. Perché io valgo, si diceva.
Si presentano pure loro come genitori autorevoli che ti concederanno l’affetto dei soldi (il guadagno che non uscirà più dalle tue tasche e che non ti lascerà più solo) a condizione che tu segua loro e compri fideisticamente tutto ciò che ti propinano; che è l’unica cosa che funziona, in quanto tutto il resto è merda autentica tranne il Rolex trading che devi assolutamente avere al polso.
Perché tu vali e ti meriti di più. Benefattori 2.0
È uno spaccio di droga virtuale molto pericoloso, che va proprio a incentivare nelle menti più deboli la costruzione di una personalità da investitori totalmente falsa e scollegata dalla realtà.
In realtà, queste persone non le abbiamo incontrate per caso. Loro sono lì come dei pescatori con esca e amo. Sanno che ci sono migliaia di pesci che non vedono l’ora di abboccare, spinti da un messaggio interno che dice loro: sei una brutta persona che non ha alcuna possibilità di evolvere, per cui ti conviene trovare uno come me che ti darà la felicità con la quale cambiare la tua vita.
La realtà è ben diversa: guadagnare soldi è possibile, ma assolutamente non facile. Perdono anche personaggi come Buffett, Dalio, Pimco e James Simons. Senza andare troppo lontano, ricordiamo che Paolo Basilico è stato gentilmente accompagnato alla porta dall’azienda che aveva fondato, Kairos, per non aver capito il mercato nel 2018.
IN CONCRETO SUI MERCATI
La conseguenza ai giorni nostri si sta evidenziando con un uso abnorme e sconsiderato della leva, amplificato non solo da borse sui massimi e quindi più “pesanti” quando si muovono, ma anche da molti nuovi trader arrivati con il Covid, perché non avevano di meglio da fare e pensavano che il trading fosse un rimedio alle difficoltà del momento (700.000 in India, oltre 4 milioni negli Stati Uniti, e via di questo passo).
Ciò significa scegliere investimenti rischiosi con conti sottocapitalizzati, raccontando a noi stessi la palla colossale che “intanto provo”.
Concretamente, significa: intanto comincio a fare un po’ di cavolate così almeno sarò come tutti gli altri, e potrò un giorno incolpare il mercato e tutti i suoi partecipanti che questa è un’attività nella quale non è possibile guadagnare del denaro. Ci troviamo così di fronte all’apparente paradosso che le persone fanno trading perché dicono che la cosa li appassiona moltissimo (spiegazione razionale), quando invece la motivazione più profonda consiste nel fatto che stanno cercando un altro luogo dove sfogare la loro frustrazione, e cercare di vincere la medaglia d’oro delle giustificazioni al fallimento.
Quel fallimento al quale si preparano con pervicace ostinazione sin da giovane età, da quando cioè hanno rinunciato a essere loro stessi per accontentare gli altri.
Una domanda: noi, da che parte vogliamo stare?